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2020-04-08

Rosso papavero

Rosso papavero – DE GIOVANNI LUIGI

Rosso papavero di Luigi De Giovanni.


Avventurarsi nei campi di papavero per renderli pittoricamente è stato per l’artista emozionante e travolgente. Ha trovato i fiori, accostati l’un l’altro quasi per farsi coraggio nella loro fragilità, che si piegavano alle lievi brezze, li ha inseguiti con pennellate istintive che miravano a fissare atmosfere e non forme, tingendo di rosso le tele con rimandi poetici a significati profondi di guerra, di morte ma anche di conforto. L’artista, in queste opere dipinte con istintività nei capi arrossati, pennellata dopo pennellata ha colto i fiori rossi nella loro bellezza e caducità e nell’inquietudine di antichi dolorosi significati. De Giovanni, con pennellate rapide e pastose, ha segnato i profili delle distese caratterizzate dalle sfumature che tingevano le campagne o le composizioni. Composizioni di fiori semplici, recisi, cercavano di mantenere la naturalezza mentre raccontavano di vita che li abbandonava. I boccioli della forza d’esistere coraggiosamente si aprivano pieni di speranze per reclinarsi poi in un abbandono di morte. Per la giornata del contemporaneo, l’artista realizzerà un’installazione che includerà le opere alle pareti e petali di carta dipinti di rosso, d’un rosso che strariperà per finire su fogli accartocciati e disposti a caso sul pavimento: a caso come i fiori caduti in guerra.

                                                                                      Federica Murgia













2020-04-02

RIVOLUZIONE

RIVOLUZIONE

L’evento “Rivoluzione” è un momento di denuncia dei drammi dell’umanità auto provocati dall’uomo accecato dall’egoismo e dalla sete di potere. Il concetto è narrato da trentasei tele bianche che interpretano la parola “pace” e da un bidone diventato mastello contenente una melma rossastra, rigirata con un grosso bastone dai visitatori.
Il titolo dà un’idea del sogno che nel tempo ha mosso i popoli che chiedevano d’esistere e che è diventato spesso incubo e tomba dove è seppellito con la giustizia e la fiducia nell’avvenire. Ora non bastano le solite parole che hanno animato gli ideali, troppo spesso crollati il giorno dopo… quel giorno che doveva essere della pace, a giustificare la partecipazione a rivoluzioni vuote come le tele bianche che sperano d’essere colorate da un’ispirazione felice.
Le tele bianche, dove neanche un artista ha voluto dipingere, si animano dalla parola “pace” presagendo venti di dolore. Dolore per un lavoro che manca, per la giustizia che non vede applicati i suoi principi, per la libertà condizionata dai poteri, per gli animi feriti nella speranza: l’oggi è triste, il domani appare minaccioso.
Nel mastello, interprete della terra, si avvertono i fermenti della ribellione contro i soprusi e i gioghi che hanno privato le persone della dignità del lavoro, della libertà, dell’uguaglianza: miraggi infranti che, spesso, hanno precipitato interi paesi in climi medievali. Le mani tengono ben fermo il bastone del potere che nel rimestare forma bolle e grumi minacciosi che si gonfiano sino a esplodere in rivolta incontrollata, essendo venuta a mancare la speranza di cambiamento. È il mastello, vecchio bidone arrugginito e sporco, che nei segni del tempo racconta tristemente di dura fatica mai ricompensata adeguatamente e di sfruttamento doloroso.
Il bastone, sporcato dall’egoismo e dall’arroganza, racconta dei potenti diventati prepotenti senza scrupolo che non si curano delle istanze di quel popolo fiducioso che li ha scelti. 
Un'installazione e una performance che servono a Luigi De Giovanni per raccontare della povera gente che, pur avendo vissuto la rivoluzione, non conta nulla nella scacchiera di quei pochi potenti che ne decidono, “rimestando” di continuo nel mastello del mondo, le sorti.
Il gesto partirà da un grande bidone, riempito di un denso liquido rosso scuro, situato al centro dello studio con dentro il bastone che servirà a rimestare: l’azione verrà fatta dai visitatori e le poche persone, che riusciranno a usare il “bastone” del potere, rimestando simboleggeranno i potenti che incuranti dei diritti dei poveri, si spartiscono le ricchezze sino a ridurre interi popoli alla fame. Nel pavimento, ricoperto da polveri bianche schizzate di rosso vermiglio e da ombre di colore tetro, si avvertiranno le tracce di rivoluzione anche osservando l’implorazione delle trentasei piccole tele (cm 20x20 ciascuna) che esalteranno la forza delle idee di pace che, purtroppo, svaporano in violenza che si diffonde coinvolgendo sempre più persone del popolo perse nel vuoto: un vuoto che porta molto spesso “dalla padella nella brace”.
                                                                Federica Murgia

















2020-03-31

QUACQUARAQUA'

Quacquaraquà




Certi della loro erudizione, i saputi, sputano le loro verità con fare sicuro affermandone oggi una sempre diversa o arricchita rispetto a quella sostenuta ieri. Hanno leggiucchiato, senza troppa attenzione per i contenuti, o sentito sprazzi di notizie, anche pruriginose, che spacciano per oggettive e giuste. Si pavoneggiano, aggiungendo di volta in volta nuovi particolari, perché hanno sentito o percepito dei frammenti di voci qua e là. Frequentemente carpiscono idee, che poi spacciano come proprie, il più delle volte appiccicate, mancando lo spirito creativo e l’ideazione che dà anima ai pensieri e alle cose. Le idee, di cui si appropriano i quacquaraquà, sono monche e riescono a sorprendere il pubblico solo per poco, in quanto, non hanno un successivo sviluppo e coerente continuità. Qualche volta riescono ad avere il seguito di persone che, anche in buona fede, prestano attenzione, e per questo vanno col petto in fuori e hanno l’aria d’essere molto importanti. I quacquaraquà parlano sul nulla convinti di essere scaltri ma, ad ascoltarli, si capisce subito che rappresentano solo la vuotezza mentale e che possono discorrere solo di pettegolezzi, di sentito dire, di cose mai approfondite. Frasi fatte, respirate e rinforzate nei gruppi chiusi, danno il senso della loro cultura e della mancanza di ricerca dell’ideativo, del giusto e del bello. S’infastidiscono quando qualcuno osa confutare l’inconsistenza contenutistica delle cose di cui parlano e continuano a pavoneggiarsi con giri di parole che giustificano solo l’ignoranza: la mancanza di sostanza interiore che possa sostenerli al di fuori delle nozioni che danno loro certezze. Questi sono i quacquaraquà che mi lasciano tutte le volte con un dubbio “ci sono o ci fanno?” Luigi De Giovanni in otto opere ha voluto raccontare il vuoto chiacchiericcio e fare un omaggio a Leonardo Sciascia che, nel libro “Il giorno della civetta”, divise gli uomini in categorie, sistemando nell’ultima proprio i quacquaraquà, persone che, secondo l’autore, <>. L’artista ha colto lo spunto e usando gli strumenti della pittura, ha trovato idee e sensazioni materializzando le angosce e le ferite che causa il pantano dei pettegolezzi sino a renderlo concreto nel colore che tinge in monocromo una tela di denuncia, diventata metafora del fango sputato inutilmente. Gocciolamenti, spruzzi, macchie essenziali, nelle opere in mostra, realizzate di getto, esprimono la rabbia istintiva del gesto pittorico che si manifesta, anche, mettendo in primo piano la parola, linea guida, “quacquaraquà”. Nell’opera “malinconia in bianco su sfondo rosa” gocciolamenti di calce, tracce di tinteggiatura di pareti d’abitazione, si rapprendono in una grande e densa macchia screpolata come se si fossero manifestati i segni del disfacimento degli ideali e dei sogni colpiti dagli schizzi melmosi. Uno sfondo rosato, traccia di speranza, contrasta con i sicuri segni bruni che esaltano il significato della cupa malinconia dell’opera che riporta ai piccoli paesi, humus che fermenta il genio ispirato, che fa avvertire sensazioni di disagio, di mancata accettazione dell’uomo per quello che è e non per quello che dovrebbe essere secondo i quacquaraquà benpensanti. Trama del racconto pittorico è la tristezza dell’animo, colpito dalle maldicenze, che si palesa nei dipinti denunciando la superficialità dei quacquaraquà che trasformano in schizzi di fango appiccicoso, che viene scagliato addosso alle persone per annullarle per allontanarle dal loro posto, anche sociale. Le gestuali macchie esprimono la cattiveria diventata tormento, mentre ripetere sulle tele la scritta “quacquaraquà” è una catarsi liberatoria che denuncia l’immobilità mentale di chi non sa rendersi conto del significato delle ferite che infligge. Una tela gialla, che si anima di allegra vitalità e della gioia di ricominciare nel bianco in esplosione, diventa la speranza che si afferma nell’opera dove da uno sfondo bruno di tela grezza, in cui si addensano macchie spesse di colore bianco, c’è la memoria delle persone che riescono a sfuggire al chiacchiericcio: al limo che le aveva circondate e ferite. Nelle opere in mostra si percepiscono le sensazioni di animi offesi e la stoltezza dei quacquaraquà: che potranno continuare con il loro impegno sparlando ed enunciando sproloqui su persone, cose o argomenti. I quacquaraquà sono rappresentati, con sagace ironia, in un omaggio a Leonardo Sciascia che con poche parole riusciva a donarci il clima di un paese dove anche le pareti delle case mormorano. L’artista con una metafora dà spunto ai loro futuri discorsi…. Federica Murgia

2020-03-30

URLO NERO

 “Urlo nero”

Un grido di dolore. Una voce che si perde nella notte di un mare blu diventato tomba. L’ululo del tempestoso vento fa udire il canto delle prefiche che si straziano per affetti altrui e le loro lacrime diventano diluvio travolgente che alza le onde sino a mostrare le oscurità degli abissi: non c’è più speranza. Scappano, i profughi, su carcasse di barche perché hanno avvertito il richiamo di morte che i tamburi di guerra evocano rullando sempre più forte. Ecco lo strazio delle persone impaurite che cercano il loro ultimo soffio di vita.
Nell’artista riaffiora la sinestesia di Quasimodo, in quella memoria ritrova l’oggi, le sue sensazioni, le sue emozioni e una società che sembra aver perduto il senno: tutto viene furiosamente fissato sulle tele dove il colore pare innalzarsi a coprire l’orrore.
Pantarei. Tutto scorre e nulla pare mutare nell’animo umano assettato di potere e sangue. Si sono perse la pace, la fede nella giustizia e nella vita, il raziocinio: il loro spazio è diventato utilitarismo, odio. Ora l’opportunità travolge i sentimenti d’amore e pare non serva più la gioiosa speranza nella religiosità del dono della vita. La bontà e la giustizia sono in putrefazione distruttiva come pure la fiducia nel futuro.
In questo clima l’artista sente “l’urlo nero” e si ritrova nella poesia “Alle fronde dei Salici” di Salvatore Quasimodo. Un altro tempo: ma, sempre, lo stesso uomo.
Lo studio “Sutta le capanne du Ripa”, in piazza del Popolo 21° a Specchia Lecce, sarà sede di una mostra, un’installazione dell’artista di Luigi De Giovanni che per la “Giornata del Contemporaneo” realizzerà una performance che parlerà di morte di guerra e di orrore ma anche di vita di pace.                                                             Federica Murgia








2018-10-17

La mostra prosegue nei due studi di Piazza del Popolo a Specchia (LECCE)

IL SILENZIO DELLA SOLITUDINE DI LUIGI DE GIOVANNI

La mostra prosegue nei due studi di Piazza del Popolo a Specchia (LECCE)




















Il silenzio della solitudine di Luigi De Giovanni
La mostra prosegue nei due studi di Piazza del Popolo a Specchia (LECCE)




Il silenzio della solitudine di Luigi De Giovanni
A cura di: Federica Murgia - e20cult - Sutta Le Capanne du Ripa
Sutta le Capanne du Ripa Piazza del Popolo 21A e Studio 22 Piazza del Popolo 22  Specchia Lecce
Apertura Mostra:
 13/10/2018 ore 10:00

L’evento è organizzato in occasione della 14 giornata del contemporaneo promossa da AMACI

e20cult - Sutta Le Capanne du Ripa

13 /25 ottobre 2018
Allestimento: Architetto Stefania Branca
Il silenzio della solitudine porta l’artista a riannodare i fili dei suoi pensieri per ancorarli nella memoria e farli riemergere nel momento creativo in climi che raccontano dialoghi interiori: angosce esistenziali o ricerca di sprazzi di aspettative che necessitano d’essere fissate per uscire dai tormenti. Grovigli di sensazioni s’incrociano in racconti che trovano le linee conduttrici in garze che, ricoprendo antichi intrecci di canapa o fili del ricordo, suturano le ferite del tempo che ha deluso i sogni. Per l’artista la ricerca dell’Io si fa urgente in pennellate e segni che vogliono ammantare lo smarrimento creato dagli eventi. Così i fogli si riempiono di filati e colori: di storie che sgorgano accavallandosi e saldandosi precipitosamente sino trovare la conclusione in una catarsi che porta Luigi De Giovanni a sprofondare nei meandri dei suoi turbamenti per ritrovarsi in sensazioni di pacato rasserenamento e di sottile gioia di vivere. I racconti si librano e i fogli prendono vita su stenditoi che attraversano lo spazio seguendo il ritmo di una brezza di speranza che va oltre il tempo per dare, finalmente, voce al silenzio della solitudine. 
Attività collaterali
Alle ore 18:30 Reading poetico–letterario, degli autori de “Il Raggio Verde Edizioni, sul tema della solitudine.
Per informazioni
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Anche Luigi De Giovanni a Firenze

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