Nel Borgo antico di
Specchia un presepe vivente all’insegna della fede che conclude un dicembre
2012 ricco di eventi.
Un Presepe all’insegna della generosità e del lavoro di
tutti quelli che, con rinunce e sacrifici, hanno contribuito alla sua
realizzazione non può che essere apprezzato anche per l’impulso che ha dato al
turismo.
In questo periodo di crisi economica far conoscere le
bellezze e le positività del territorio è la base per valorizzare le risorse
altrimenti date per scontate. In quest’ottica nel mese di dicembre Specchia ha
messo in campo varie idee. La prima, in ordine di tempo, è stata organizzata dall'Assessorato
alla Cultura del Comune di Specchia e dal Comitato gestione biblioteca, il 4 e
il 5 dicembre, con “Parole e Musica”. L'evento oltre a far godere i meravigliosi versi di autori classici che si
sono cimentati sul tema dell’ulivo, quali: Dante, Orazio, D’Annunzio, Machado,
Neruda, Lorca, Turoldo, Pascoli, e con incursioni nella preghiera di Ramsess
III al Dio Ra (dal papiro di Harris) e nella Bibbia ha fatto scoprire l’armonia
delle musiche rinascimentali e barocche nel concerto “Il pentagramma del
frantoio”della liutista Gabriella Perugini. La musicista ha suonato il liuto e
la tiorba facendo scoprire le armonie di un tempo passato. Un concerto multisensoriale
dedicato all’olio d’oliva che, in un programma che, volendo essere anche di
scoperta, ha portato a conoscere il frantoio dei Francescani Neri e
l’eccellenza dell’olio, ottenuto biologicamente da Rosanna Merico, rivelatasi
anche ottima presentatrice, in un assaggio che ha racchiuso tutti i profumi di
un prodotto che non ha pari.
Sempre ai Francescani Neri godibili sono state le mostre dei
bambini, delle classi terze della Scuola Primaria, che hanno interpretato il
territorio con ingenuità e perizia, e degli interessanti fumetti di un giovane
artista locale che illustravano fiabe. In seguito, sempre in quest'antico
convento, lo spettacolo di profonda integrazione ha dato voce ai ragazzi che
spesso ne sono privati a causa della scarsa sensibilità delle persone.
In clima di austerità di grande significato è stata la
mostra di Ada Scupola che è riuscita, con originalità e creatività, a
realizzare opere artistiche ottenute grazie ad un sapiente riciclo di vari
materiali altrimenti inservibili.
L’atmosfera natalizia mi ha portato a visitare bellissima
Chiesa Madre dove la mia attenzione veniva attratta da un cibernetico presepe
in cui tutte le strutture e i personaggi legati alla natività erano costruiti
con parti di computer. I fili di rame si erano trasformati in originali capelli
biondo-rossatro. Tastiere,
monitor, unità di sistema, valvole, mouse, microprocessori erano diventati,
magicamente, Sacra Famiglia, animali, Re Magi, pastori, capanna, montagne:
tutti i tasti, tutti i fili aggrovigliati nel raccontare la storia del Natale
descrivevano, pur nella fede, la vita di oggi e di quell’appennicolo chiamato
computer quasi indispensabile nell’attuale società.
Un evento che ha suscitato molto interesse è stato quello
della mostra antologica di Luigi De Giovanni, patrocinata dal comune di
Specchia, inaugurata, alla presenza del Sindaco Antonio Biasco e dell’Assessore
alla Cultura Giampiero Pizza, il giorno 15 dicembre. La mostra organizzata da
“Il Raggio Verde S.R.L.”, presentata dal critico Toti Carpentieri è stata
allestita magistralmente dall’architetto Stefania Branca nei due piani del
castello Risolo. Nella piazza Del
Popolo intanto era stato sistemato un immenso braciere colmo di legna da ardere.
Era pronto per la focaredda che veniva, come previsto, accesa il giorno 24
dicembre: quasi a scaldare l’evento della Natività. Fiamme e scintille si
levavano al cielo creando atmosfera e attirando molte persone.
Nell’aria sin, da metà dicembre, si avvertiva il clima
Natalizio, soprattutto per il gran lavoro che andavano facendo tutti i
volontari dell’Associazione Culturale
Sportiva "Eugenia Ravasco". Venivano costruite le scenografie,
sistemate adeguatamente le case nel percorso del presepe vivente, la capanna
nell’atrio del castello Risolo e la vigna nella piazza del Popolo.
I costumi erano pronti
per tempo. Un andirivieni continuo sapeva di gioia, donazione e fede, tutto
veniva fatto con molta perizia per realizzare al meglio la V edizione del
Presepe vivente di Specchia. Il giorno 25 dicembre, davanti alle porte di
Betlemme, le autorità religiose e politiche salutavano i visitatori. C’era un
clima d’attesa mentre lo speaker annunciava, più volte, l’imminente arrivo del
Legio II Augusta che, finalmente, proveniente da Via Roma, si presentava al
pubblico, preceduto dalle matrone, elegantissime con i loro indumenti
drappeggiati con fibule scintillanti, seguite dai soldati di cui alcuni
trascinavano l’ariete, spaventosa macchina da guerra del tempo, e si
apprestavano a rappresentare la potenza di Roma. L’arrivo dei pastori e dei
pastorelli silenziosi, che trasportavano i loro fardelli eseguendo le
figurazioni già imparate, era ritmato dall’armonia delle zampogne. I figuranti
via via prendevano posto nelle scene calandosi nella vita di oltre 2000 anni
fa, in questo, accompagnati da un tripudio di fede, curiosità, musiche e
colori. L’ingresso alla città della Natività veniva controllato da guardiani
inflessibili che regolavano il traffico delle persone che si apprestavano alla
visita. Anch'io venivo bloccata. Nell’attesa dell’ingresso ascoltavo i rumori
che provenivano dalla città rappresentata, mi sembrava che, nonostante le
musiche natalizie che non potevano esserci nei tempi raccontati, ci si
apprestasse proprio a Betlemme tanto si erano calati nel clima tutti i
figuranti.
Le matrone, i soldati
e i comandanti della Legio II Augusta nella loro maestosità, accentuata dai
mantelli spesso rossi e dai lucidi elmi, si erano schierati anche intorno ai
fuochi dell’accampamento e rilucevano nelle armature a placche, mentre i bimbi,
rigorosamente in divisa romana, contribuivano a rendere realistica la scena.
Il censimento veniva
fatto con l’uso dei registri, dove i visitatori mettevano il nome e il luogo
d’origine; scrivere il mio nome e Cagliari mi aveva fatto sentire nella mia
città, che un po’ mi manca. Mentre visitavo la casa dei Conza Limmi intenti nel
loro lavoro, mi ricordavo che anch'io avevo una pentola di terracotta ammaccata
e anche un'insalatiera, magari li avrei potuti portare da loro per ripararli:
avevo perso un’occasione!
Procedendo nella
visita si arrivava nella casa di Maria, dove l’evento dell’annunciazione era
accentuato dagli abiti dai colori chiari e dall’azzurro dell’inginocchiatoio.
C’era una compenetrazione totale dei personaggi nel racconto biblico tanto che
le manine giunte delle ragazzine sapevano d’innocenza e accettazione degli
avvenimenti.
La formazione dei
pastorelli assumeva delle posizioni statiche come se fossero improvvisamente
diventati statuine di un presepe. Gli animaletti, tenuti in piccole gabbie di
legno grezzo o che seguivano pazientemente diretti al pascolo della devozione,
si muovevano dando un senso d’armonia e vitalità. Nella stalla dei bambini
tagliavano la biada mentre altri la davano al cavallino sistemato al di là
della carrozza. La scena, pur bella nella composizione, mi rattristò. La scena,
pur bella nella composizione, mi rattristò, ricordandomi i cavalli della mia
famiglia che correvano, ogni qualvolta li chiamassi, nitrendo di gioia: erano
compagni dei giochi dei miei fratelli e miei ed erano così pazienti e docili
che spesso salivamo in groppa senza sella e loro pareva stessero attenti a non
farci cadere. Le operazioni di tessitura attirarono la mia attenzione, giovani
donne preparavano le navette, altre tessevano, armeggiando con i licci, gli
orditi e le trame, lo sbattere dei pettini dava il ritmo al lavoro. Anche
questa scena mi fece ricordare i racconti della mia mamma che, curiosissima,
imparò a tessere sin da quando era bambina e non arrivando con i piedi ai
pedali veniva aiutata dalla sorella minore che li manovrava al segnale
convenuto.
La lavandaia, dalle
mani arrossate, attendeva l’effetto della lisciva e contemporaneamente lavava
con attenzione altri panni, mentre la stiratrice, col ferro pieno di brace,
stirava i merletti realizzati dalle ricamatrici con molta cura e competenza. La
scena era caratterizzata dalla biancheria stesa con attenzione, quasi delle
quinte per rendere più suggestiva e veristica la scenografia. Questi lavori mi
riportarono ai racconti della mia bisnonna Rosa che, avanti con gli anni,
intratteneva i pronipoti raccontando la vita e le tradizioni del passato, dove
molto importante era la lisciva che oltre a sbiancare la biancheria le
conferiva un profumo buonissimo, spesso accentuato dall’uso della lavanda e
delle rose.
Gli scribi impegnati nella
scrittura avevano preso posto nei tavoli ricoperti da tovaglie bianche.
Apparivano concentrati nel loro lavoro sulle pergamene e i costumi che
indossavano li rendevano maestosi, anche se il loro antico potere era dato solo
dal saper scrivere.
Il gregge nel recinto
appariva placido. A questo punto la musica delle zampogne faceva presagire
l’arrivo del pastore richiamato da timidi belati. Subito dopo ci si ritrovava
in una casa, dove si facevano la cardatura e la filatura della lana che, lavata
e pettinata, veniva filata e trasformata in gomitoli pronti per la lavorazione.
Questa scena mi fece ricordare la mia prozia Totonia, donna dolcissima e
amatissima che, non essendosi sposata, ci faceva da bambinaia. Filava
tantissima lana, lavata nelle chiare acque dei limpidi ruscelli di Seulo, e
preparava calze per tutti i nipoti. Noi eravamo bravissimi a scompigliarle il
fuso e ad aggrovigliarle la lana dei gomitoli, ma lei trovava sempre una soluzione.
Una volta, noi bambini, togliemmo la pallina in fondo al fuso e la nascondemmo,
lei non riuscendo a stare con le mani in mano prese una patata e la usò per
fermare la lana pettinata.
La cera, che per
secoli aveva illuminato le notti dei nostri antenati, veniva lavorata
artigianalmente da un giovane allevatore d’api che, con grande competenza e
cortesia, ne spiegava le fasi e le funzioni, incalzato dalle domande del
pubblico, parlavano, con amore, dell’allevamento delle api.
“E il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” recitava il cartello davanti alla casa di Elisabetta. Si era giunti alla
scena trascendentale della Visitazione di Maria a Elisabetta, dove i toni
chiari prendevano sfumature dell’azzurro delle vesti, vi si avvertiva la gioia
di due madri consce d’interpretare il grande evento spirituale della nascita di
Gesù.
Nello studio
successivo si trovavano gli artisti che con le loro opere raccontavano della
fede non limitandosi solo ai fatti che si andava rappresentando.
Il fabbro dava forma
ai manufatti battendo ritmicamente con il martello sull’incudine e, quasi a
voler esaltare l’Evento biblico, faceva salire in cielo scintille: quasi stelle
che volevano illuminare la strada della fede.
Il riparatore di botti,
con un colpo al cerchio e una alla botte, sistemava gli anelli metallici. Il
calzolaio, intento alle riparazioni delle scarpe, armeggiava con lesine,
trincetti, raspe e colle, disposti in bella vista, aveva messo una fila di
tacchi, (non so se nel tempo raccontato esistessero o meno).
Non mancava nel
percorso il falegname che onorava il mestiere di Giuseppe.
I pastorelli avevano
ripreso la strada, si esibivano facendo le statuine, attirando l’interesse dei
visitatori del presepe. Ecco un altro recinto di pecorelle, intente a mangiare
la paglia, che attirava l’attenzione dei bambini poco avvezzi ai greggi.
Un’aria allegra si avvertiva nella locanda da cui usciva un inebriante profumo
di vino che veniva bevuto accompagnato da pane e pomodoro condito con un
gradevole olio locale. Più in là alcune signore preparavano formaggio e ricotta
mentre altre erano impegnate con le sagne torte, le orecchiette e i
minchiareddi. La lavorazione della cartapesta, dei muri a secco e l’arte povera
incuriosiva molte persone che si soffermavano e facevano domande.
La scena del
matrimonio dava l’idea di luce, era una bella rappresentazione di una
situazione d’amore, fiducia e fede. Tutto sapeva di sontuoso, solenne e la
posizione dei protagonisti rispecchiava la ritualità dell’avvenimento.
I mercanti di frutta
invitavano a gran voce l’acquisto dei loro prodotti, che pareva fossero graditi
agli acquirenti che non si astenevano dal comprare. I piccoli fuochi ardevano
nella piazza, le pentole che pendevano dai trespoli servivano a esaltare la
scena, attorno vi erano delle persone indaffarate, alcune erano sedute sulle
balle di paglia pronta per sfamare gli animali domestici. Tutto questo dava una
sensazione di accogliente e familiare.
Nella sinagoga,
scaldata da un grande fuoco che ardeva in un braciere, i sacerdoti pregavano e
leggevano con solennità i libri sacri. Il candelabro a sette braccia illuminava
il tempio e raccontava il suo significato di perfezione; la stella di Davide,
disegnata su un telo, non ricordava solo il simbolo di re Salomone ma anche i
significati terribili della barbarie umana.
Le caldarroste
mandavano gli invitanti profumi e mi ricordavano l’infanzia, quando, dopo cena,
a casa dei miei genitori, si cucinavano, con la padella con i buchi, mentre ci
venivano raccontate le storie prima di mandarci a letto.
Il mercato brulicava
di persone incuriosite e lo stagnino, circondato dai contenitori, riparava e
stagnava tegami e recipienti vari. Anche questo mi riportò alle case dei miei
nonni dove nelle cucine, vicino al forno e ai fornelli, luccicavano pentole e
oggetti vari in rame che venivano puliti con cura e tramandati. Il corredo in rame, materiale oggi
caduto in disuso, non mancava nell’elenco delle stoviglie di tutte le spose,
non molto tempo fa. Il vino cotto con scorza di arancia diffondeva, in tutto il
circondario, il suo profumo, esaltato questo dagli ingredienti delle cartellate
che erano così invitanti che i turisti non riuscivano ad astenersi dalla
consumazione. I cestai, le ricamatrici e i panari, antichi mestieri di primaria
importanza nelle società contadine, costringevano a soste prolungate e a
domande per capire i procedimenti di lavorazione. Le pittule, frittura
natalizia preparata con cura dalle massaie, erano un’attrazione che non si
poteva ignorare e la fila per acquistarle dimostrava come queste fossero
gustose e invoglianti. Si arrivava poi alla cantina dove, grazie anche alle
pittule, si beveva con gusto del buon vino. Adiacente alla piazza del Popolo
bellissima ed efficace appariva l’installazione della vigna. Le antiche viti,
dai tralci spogli, affioravano dalla terra e s’innalzavano raccontando le gioie
che offrivano i loro frutti e la spiritualità che legava il vino alla ritualità
della fede cristiana. Le musiche dei bagordi che avvenivano nella fastosa casa
di Erode si udivano da lontano e le danze che vi si facevano raccontavano di
materialismo pagano che non vedeva il segno di spiritualità che si andava
compiendo. Nell’aia una carrozza e un cavallino ricordavano la trebbiatura. Il
vento veniva in aiuto facendo volar via la pula e la paglia: un aiuto naturale
per meglio rappresentare la scena. A me sovvennero le aie del mio paese, dove
la trebbiatura veniva fatta dai gioghi di buoi, e la grande festa che si faceva
con arrosti, dolci e buon vino che predisponeva alle danze propiziatorie il
raccolto. Inoltrandosi oltre il portone del castello Risolo si arrivava al suo
atrio, dove era predisposta la stalla della natività. Un bellissimo bimbo,
chiamato inconsapevolmente a fare la rappresentazione di Gesù, sorrideva beato
con i visitatori e i genitori e concludeva il percorso di fede. La penombra
dell’esterno faceva apparire la stalla luminosissima, questa sensazione era
accentuata da drappi chiari che pendevano dal soffitto. Un somarello che ogni
tanto faceva udire il suo verso ricordava la tradizione Francescana che aveva
inserito il bue e l’asinello nel presepe, anche se non citati nei vangeli. Il
Papa nel suo ultimo libro lo dice chiaramente, ricordando però che chi è
abituato può continuare a metterli perché rispecchiano una tradizione di fede.
All’uscita dal percorso del presepe moltissime persone non perdevano
l’occasione di visitare la mostra antologica di Luigi De Giovanni allestita nei
due piani del castello. Andando via si arrivava nuovamente nella piazza del
Popolo, dove uno stand allestito dalla Pro Loco, dispensava gustosissime
pittule. Il braciere, colmo di tronchi e fascine, mandava scintille al cielo
donando una visione veramente bella.
L’ultima scena è stata
rappresentata il giorno 6 gennaio 2013.
Era iniziata con la benedizione di tutti i figuranti e poi con la
processione e si era conclusa con il discorso delle autorità e i
ringraziamenti. L’Epifania portava i Re Magi alla santa stalla e culminava con
il bacio al Bambinello portato con amorosa fede da Don Antonio.
Un ringraziamento, per
l’impegno profuso, meritano gli organizzatori: l’Amministrazione Comunale di
Specchia, la Parrocchia Presentazione Della Vergine Maria di Specchia e i
volontari dell’Associazione Culturale
Sportiva "Eugenia Ravasco" nonché tutti coloro che, a vario titolo,
hanno collaborato per la meravigliosa riuscita della quinta edizione del
Presepe Vivente del Borgo Antico di Specchia.
Specchia gennaio 2013
Federica Murgia